Marte e Venere con Amore
Marte e Venere con Cupido
DIPINTO
Tipo:
Opere; DIPINTO; Oggetto fisico
Categoria:
Opere d'arte visiva
Autore:
Caliari Paolo detto il Veronese (1346 - 1410)
Prima di approdare in Galleria Sabauda, l'opera faceva parte della collezione di dipinti, sculture, oreficerie, mobili antichi, reperti archeologici e altri manufatti preziosi raccolta dall'industriale e mecenate piemontese Riccardo Gualino (Biella 1879 - Firenze 1964). Inviata a Londra nel 1933 per l'arredo dell'Ambasciata italiana, ritornò in Italia nel 1938 per essere esposta a Venezia alla mostra sul Veronese, e non più rimandata a Londra per il pericolo dell'imminente conflitto mondiale (N. Gabrielli, "Le fortunose vicende della donazione Gualino alla Sabauda", in "Studi piemontesi", Novembre 1975, vol.IV, fasc. 2). Questa tela è stata identificata con il dipinto d'analogo soggetto citato nell'inventario della collezione del cardinale ferrarese Carlo Emanuele Pio di Savoia, inventario stilato nel 1624, dove è descritto come "Venere e Marte del Veronese con Cupido che tiene un cavallo per la briglia Cornice tutta dorata forma piccola all'antica" (J. Bentini, a cura di, "Quadri rinomatissimi e la collezione di Pio di Savoia", Carpi 1994, pp.95, 97, 99; M. di Macco, "Paolo Caliari detto il Veronese, Venere e Marte con Cupido", opera del mese, presentazione del 4/2/1997, p.2). In base al ritrovamento di questa citazione viene a cadere la passata identificazione con il dipinto ricordato nel 1648 dal Ridolfi presso Cristoforo Orsetti a Venezia (L. Venturi, "Alcune opere della collezione Gualino esposte nella R. Pinacoteca", Milano-Roma 1928, nota alla tav.39). Numerosi furono i passaggi di proprietà tra Otto e Novecento: dalla collezione Lechi di Brescia a quella di sir Thomas Lawrence a Londra, dalla collezione Potter Palmer di Chicago fino a quella di Riccardo Gualino a Torino, che l'acquistò nel 1924 a New York. Donata dallo stesso nel 1930 alla Galleria Sabauda fu esposta in museo nel 1959 dopo la parentesi travagliata della donazione prima e durante la seconda guerra mondiale ("Dagli ori antichi agli anni Venti. La collezioni di Riccardo Gualino", catalogo della mostra Torino 1982, Milano 1982, pp.35-43). Nel 1909 l'opera era stata illustrata privatamente dal Berenson alla sig.ra Potter Palmer di New York. La critica ha riconosciuto all'unanimità l'autografia, anzitutto per l'altissima qualità dell'opera (A.M. Brizio, "Note per una definizione critica dello stile di Paolo Veronese", in "L'Arte", anno XXIX, Roma 1926; L. Venturi, "La Collezione Gualino", Torino-Roma 1926, nota alla tav.XLII; N. Gabrielli, "Galleria Sabauda. Maestri italiani", Torino 1971, pp.255-256; M. di Macco 1997).||Il piccolo formato, inconsueto nella produzione dell'artista, induce a ritenere che l'opera fosse destinata ad una fruizione diversa da quella delle grandi tele di argomento biblico che in una scenografia fastosa, evocavano virtù morali (M. di Macco, 1997, p.1). Nel piccolo quadro si sviluppa non tanto il tema più volte affrontato dal pittore, cioè quello amoroso in chiave allegorico-morale, bensì quello della tradizione erotico-mitologica rinascimentale degli amori degli dei, ben rappresentata dalla serie di incisioni di Giovanni Jacopo Caraglio del 1527, su disegni di Perin del Vaga e Rosso Fiorentino. L'opera risulta così isolata rispetto alle Allegorie d'amore (Disinganno, Infedeltà, Rispetto e Unione felice) delle quattro tele della National Gallery di Londra (M. di Macco, 1997, p.1; T. Pignatti, "Veronese", Venezia 1976, p.91) e anche rispetto alle altre opere raffiguranti Venere e Marte (New York e Boston) (A. Bava - C. Arnaldi di Balme, scheda dell'opera, in "Il Rinascimento in Italia. La civiltà delle corti", catalogo della mostra di Tokio 2001, p.206). In particolare la critica ritiene che, messa da parte ogni artificiosa composizione, Veronese abbia qui inscenato il mito con un linguaggio di "temperato naturalismo" (M. di Macco, 1997, p.1; W.R. Rearick, 1988, pp.82-83, n.38). Se la critica è concorde per quanto riguarda l'attribuzione, non lo è altrettanto per quanto riguarda la cronologia. La datazione oscilla infatti tra l'inizio degli anni sessanta (W.R. Rearick, "Paolo Veronese: la vita e l'opera", 1988, p.82) e la fine degli anni settanta del Cinquecento (T. Pignatti, 1976, p.146, n.237; F. Pedrocco, "Veronese", Milano 1995); prevale ora per il dipinto la datazione al 1575 circa proposta per primo da Pallucchini (1963-64), mentre troppo anticipata sarebbe la datazione agli anni 1561-62 proposta dal Rearick (F. Pedrocco, scheda dell'opera in "Veronese. Miti, ritratti, allegorie", catalogo della mostra di Venezia 2005, Milano 2005, p.128); è da accogliere quindi una cronologia più prossima agli anni delle già citate Allegorie di Londra, piuttosto che in prossimità degli affreschi di Villa Barbaro a Maser. La definizione dell'opera "piccola all'antica" che si legge nell'inventario del 1624 introduce anche il problema del tipo di produzione del Veronese a Venezia e del tipo di collezionismo nella città. Continua in AN, OSS
Data di creazione:
1575 - 1575, sec. XIV, terzo quarto; 1575
Soggetto:
Marte e Venere con Cupido
Materia e tecnica:
tela/ pittura a olio
Estensione:
altezza: cm 48; larghezza: cm 39,5; profondita': cm 4.5
Condizioni d'uso della risorsa digitale:
Quest'opera di MetsTeca è distribuita con Licenza Con attribuzione, no opere derivate, senza riuso commerciale.
Oggetti digitali
Indirizzo: Palazzo dell'Accademia delle Scienze, Via Accademia delle Scienze, 6, TORINO (TO),inv. 461 (1952)
Riferimenti
È riferito da: scheda iccd OA: 01-00217088
In: Dipinti
Identificatore: work_27998
Diritti
Diritti: Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Detentore dei diritti: proprietà Stato
Licenza: Con attribuzione, no opere derivate, senza riuso commerciale