Resurrezione di Lazzaro
Dipinto
Tipo:
Opere; Dipinto; Oggetto fisico
Categoria:
Opere d'arte visiva
Autore:
Merisi Michelangelo detto Caravaggio (1571 - 1610)
Il 6 dicembre 1608 Giovan Battista de’ Lazzari (sul quale si veda Spadaro 1995, Terzaghi 2001) si impegna con i Padri Crociferi di Messina ad arredare la cappella maggiore della chiesa messinese che era stata loro assegnata, già intitolata ai SS. Pietro e Paolo dei Pisani, con un dipinto raffigurante la Madonna col Bambino con S. Giovanni Battista e altri santi. Il documento, pubblicato da Saccà nel 1907 e perduto nel terremoto del 1908, non cita l’artista che avrebbe dovuto eseguire l’opera, ma il 10 gennaio dell’anno successivo Caravaggio consegna la Resurrezione di Lazzaro ai Padri Crociferi, che accettano il dipinto nonostante il mutamento dell’iconografia rispetto alle indicazioni del precedente impegno da parte del Lazzari. È molto probabile, come suggerisce lo storiografo messinese Susinno (1724), che l’idea di rappresentare il tema della Resurrezione di Lazzaro si debba allo stesso Caravaggio, forse in allusione al cognome del committente (Lazzari), ma anche in riferimento alla missione principale dei Crociferi che, come Ministri degli Infermi, assistevano i malati e i moribondi, secondo l’esempio di San Camillo de’ Lellis (Pupillo 2001). Considerata la presenza delle ossa in primo piano, indicate da Cristo con la mano sinistra, recentemente è stata inoltre formulata l’ipotesi che il Caravaggio, attraverso il tema miracolistico, si sia ispirato alle presunte guarigioni miracolose verificatesi a Messina a cavallo tra il 1608 e il 1609 in seguito al rinvenimento, celebrato con clamore dalla cittadinanza e dalle autorità religiose, delle presunte ossa dei SS. Compagni di San Placido nel corso dei lavori di ristrutturazione della chiesa di S. Giovanni Battista dei Cavalieri di Malta, nell’area riconosciuta successivamente come pertinente ad una necropoli romana, detta di “San Placido” in onore della storia tradizionale del luogo (Spagnolo 2010).Susinno racconta che il dipinto fu pagato la considerevole cifra di mille scudi e che, per realizzarlo, il Caravaggio fece disseppellire un cadavere, obbligando i modelli a reggerlo con la minaccia di un pugnale. Narra anche di una prima versione dell’opera, distrutta dal pittore a colpi di spada per le critiche ricevute, seguita subito da una seconda, identificata con quella conservata.La maggior parte degli studiosi (con l’eccezione di Mahon 1952, Baumgart 1955, Friedlaender 1955, Jullian 1961, Calvesi 1990) pensa che il dipinto preceda cronologicamente l’Adorazione dei pastori, ugualmente realizzata a Messina, ma è molto probabile che la sua esecuzione si sia prolungata per un tempo relativamente lungo (cfr. Puglisi 1998 n. 77, p. 409), svolgendosi forse in contemporanea con quella dell’altra tela messinese.Gli aspetti iconografici e contenutistici sui quali si è soprattutto soffermata la critica sono: l’indipendenza dal Vangelo dimostrata dal Caravaggio nella scelta dell’ambientazione (Zuccari 1987); le desunzioni nell’iconografia dall’arte classica e cinquecentesca (Longhi 1968 ed. 1982; Röttgen 1969; Posèq 1998; Marini 2001 con bibliografia precedente), paleocristiana e bizantina (Zuccari 1981); la serrata geometria delle linee lungo le quali sono collocati i personaggi, in particolare la forma di croce disegnata dal corpo e le braccia di Lazzaro: una possibile allusione all’abito dei Crociferi (Röttgen 1975) ma anche alla crocifissione di Cristo e al Golgota, simboleggiato dal teschio (Hibbard 1983); il senso di morte che permea fortemente il dipinto, dall’ambientazione presso la tomba terragna alle ossa in primo piano (Longhi 1968; Gregori 1985).L’opera è oggi considerata uno dei capolavori del Caravaggio, ma in passato lo stato di conservazione, la forte dominante scura e la tecnica di stesura essenziale hanno suscitato molti dubbi sull’autografia, contro la quale pesavano anche le ridipinture cui probabilmente fu il dipinto fu sottoposto in seguito al “lavaggio” rovinoso di Andrea Suppa del 1670 circa, ricordato dal Susinno, e ai rifacimenti di Letterio Subba nel 1820, rimossi nel 1919. Nella storiografia messinese tra Otto e Novecento, come negli antichi elenchi e guide del Museo a partire dal 1898, era attribuito al Caravaggio. Tra i primi studiosi a riconoscerne ufficialmente l’autografia, dopo Saccà che reperisce il documento, ricordiamo Bottari (1935). La parte più alta dal punto di vista esecutivo, sulla quale si è concentrato l’interesse della critica per confermare l’autografia, è quella centrale con la figura di Lazzaro, le sorelle e le figure degli astanti. Sono state invece considerate parti più deboli il manto e il piede di Marta: per queste in passato si è pensato all’intervento di un collaboratore siciliano (si sono fatti i nomi di Mario Minniti e Alonzo Rodriguez) (Brandi 1951; Moir 1967). Le ultime indagini radiografiche e riflettografiche sembrano però confermare l’uniformità di esecuzione (per una disamina sulle diverse posizioni degli studiosi si veda Marini 2001 e 2007).
Tele cucite foderate con doppia tela, su telaio rettangolare in legno
Data di creazione:
1608-1609, Sec. XVII, Inizio; 1608 - 1609
Soggetto:
Resurrezione di Lazzaro
Nuovo Testamento: Resurrezione di Lazzaro
Santi: Maria Maddalena
Santi: Marta
Tomba: pietra tombale orizzontale terragna
Anatomia: teschio
Anatomia: ossa
Simboli della Morte: teschio
Materia e tecnica:
Tela/ pittura a olio
Estensione:
altezza: cm 380; larghezza: cm 275